Interesse e vantaggio dell’Ente e colpa di organizzazione

Con la sentenza Cass. pen. Sez. 4, 22 maggio 2023, n. 21704 la Suprema Corte di Cassazione ha adottato una impostazione assolutamente condivisibile e di buon senso nella valutazione della sussistenza della responsabilità ex art. 231/ 2001 riguardante nel caso di specie l’accertamento della responsabilità per una morte sul lavoro durante le ore notturne.

Nel procedimento in esame, l’istruttoria aveva consentito di accertare “che la società utilizzava nella produzione anche materiale vitreo proveniente dal ciclo della raccolta differenziata urbana, materiale cioè eterogeneo, le cui componenti tossiche non erano sempre conosciute e percepibili, tanto che nell’area di produzione era effettuata all’ingresso una cernita e un’analisi approfondita di tale materiale. Ciò avrebbe dovuto determinare un’implementazione delle procedure per minimizzare i rischi derivanti dall’impiego di materiale pericoloso. Nel ciclo produttivo, inoltre, si generava acido solfidrico e, infatti, a ridosso dell’infortunio, era intervenuta (omissis) a causa di lamentele dei cittadini che avevano accusato la propagazione di odori mefitici. Infine, il ciclo produttivo era continuo, ma per il turno notturno non era prevista una squadra di pronto intervento che, in caso di malfunzionamento delle pompe allocate negli ambienti confinati che si saturavano di acido solfidrico, potesse intervenire per risolvere i guasti. Nella specie, l’incombenza di risolvere quello occorso in occasione del mortale infortunio era spettata al capo squadra R. che aveva dovuto effettuare l’intervento da solo. A tale scelta aziendale la Corte d’appello ha ricollegato un risparmio di spesa che consente di fondare la responsabilità amministrativa dell’ente: la […] s.r.l. aveva deciso di non prevedere, tra le procedure gestionali richiamate nell’atto di impugnazione, l’approntamento di una squadra di operai, formata e attrezzata, in grado di intervenire in ambiente di lavoro con presenza di acido solfidrico e la scelta aveva generato la situazione di pericolo che aveva dato causa all’infortunio”.

Secondo la Suprema Corte tale situazione di fatto avrebbe dovuto comportare da parte della società un’implementazione delle procedure per minimizzare i rischi derivanti dall’impiego di materiale pericoloso.

Punto cruciale dell’accertamento istruttorio è rappresentato dall’esistenza di una prassi, in difetto di una specifica procedura predisposta da parte datoriale, per la quale il turno di notte per la manutenzione del meccanismo di pompaggio per il deflusso del fango prodotto dalla lavorazione veniva affidato a un solo soggetto, nella piena consapevolezza della criticità del luogo di lavorazione, un ambiente confinato, cioè, al cui interno si sprigionava una sostanza venefica. Una delle violazioni contestate in imputazione riguarda proprio l’assolvimento dell’obbligo posto dal D.lgs. n. 81 del 2008 art. 18, c. 1, lett. h), a mente del quale il datore di lavoro deve “adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa”.

La difesa ha agitato la violazione del principio consacrato nell’art. 521, c.p.p., omettendo però di considerare che la procedura lavorativa descritta in sentenza (mancata previsione di una squadra di intervento in un luogo confinato nel quale vi era la presenza di sostanza venefica) era stata accertata in corso di istruttoria e valutata dal consulente tecnico del pubblico ministero, elementi tutti esaminati nel contraddittorio e rispetto ai quali l’ente aveva avuto la possibilità concreta ed effettiva di articolare le proprie difese.

La Cassazione ha dunque confermato la sentenza di appello rigettando il ricorso presentato da parte ricorrente e ha quindi riconosciuto la sussistenza della responsabilità dell’ente ex d.lgs. 231/2001. Nel caso in esame, l’incombenza di risolvere quanto accaduto in occasione del mortale infortunio era spettata al capo squadra R. che aveva dovuto effettuare l’intervento da solo, in contrasto con la normativa sopra richiamata del D.lgs. n. 81 del 2008 art. 18, c. 1, lett. h). A tale scelta aziendale la Corte d’appello ha ricollegato un risparmio di spesa che consente di fondare la responsabilità amministrativa dell’ente. La Corte di Cassazione ha dunque ritenuto sussistente il vantaggio dell’ente nella misura in cui si è configurato un evidente risparmio di spesa nella prassi adottata dalla società.

In tale pronuncia viene cristallizzato inoltre il principio di valutazione della responsabilità per colpa, ex d.lgs. 231/2001, basato sul criterio della “colpa di organizzazione”. Tale tipo di valutazione implica una analisi in concreto dei deficit riscontrabili dal punto di vista organizzativo della società che hanno permesso il verificarsi del reato presupposto da parte della persona fisica inserita nella compagine societaria, dando ovviamente per assodato che il soggetto agisca per lo stesso ente.

L’impostazione di tale sentenza, ad avviso dello scrivente, è da condividere e dimostra l’evoluzione della sensibilità della giurisprudenza nel cercare un approccio sempre più aderente al caso concreto e sempre più attento alla verifica delle effettive possibilità di prevenzione e della conseguente possibilità di attuare in concreto procedure idonee al fine di evitare il verificarsi di reati all’interno della società.

La sentenza in commento è interessante appunto per l’adozione di questo specifico approccio ossia la valutazione non in astratto del modello organizzativo ma della sua corrispondenza alle concrete esigenze della struttura aziendale, ma non solo, anche dell’effettiva attuazione delle stesse procedure eventualmente previste.

Related Posts

Leave a Reply