Il licenziamento collettivo è senza dubbio una delle pratiche di mobilità aziendale più temute e disprezzate dai dipendenti. La ragione è chiara: “lasciare a casa” più lavoratori contemporaneamente (o in archi di tempo brevissimi) crea delle evidenti problematiche dal punto di vista economico per gli interessati e le loro famiglie, producendo inevitabilmente dei forti disagi. Nello specifico, una pratica di licenziamento si definisce collettiva quando coinvolge 5 o più dipendenti nell’arco di 120 giorni. 


A causa del malessere economico e sociale che si può creare con questi provvedimenti, lo Stato regola con norme più severe il licenziamento collettivo rispetto a quello individuale: iniziamo quindi ad analizzare i requisiti previsti dalla Legge.


Quali sono i requisiti per il licenziamento collettivo?

Il primo criterio che viene imposto alle aziende riguarda la dimensione: l’impresa deve contare infatti almeno 15 dipendenti per poter ricorrere ad una procedura di licenziamento collettivo.


Anche le aziende con dei lavoratori in CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria) che includono lavoratori in esubero possono ricorrere a questo strumento, con cui il datore di lavoro riconosce l’impossibilità di effettuare un risanamento dell’azienda in grado di evitare, per l’appunto, il licenziamento.


Un altro requisito necessario è poi rappresentato dalla presenza di un elemento causale: il licenziamento collettivo è infatti possibile solo se è funzionale ad un processo di riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività lavorativa. In altre parole, licenziare più di 5 persone in 120 giorni deve rientrare in un piano di riorganizzazione del lavoro in cui viene riscontrata un’effettiva eccedenza di personale, in generale o in una determinata unità produttiva.


Risulta quindi chiaro che il titolare dell’impresa NON possa usare il licenziamento collettivo per semplici ragioni di risparmio: l’elemento causale deve essere infatti dimostrato attraverso dati fattuali, che dimostrino un’effettiva riduzione dei profitti e delle risorse dell’azienda.


Licenziamento di più persone: qual è la procedura?

Un’azienda che rispetta i requisiti descritti sopra e intende procedere con il licenziamento collettivo dovrà comunque seguire una serie di step per verificare l’impossibilità di soluzioni alternative per i lavoratori. 

La procedura di licenziamento collettivo prevede:

  1. Comunicazione ai dipendenti e agli enti sindacali: il datore di lavoro dovrà comunicare per via scritta l’intenzione di licenziare i dipendenti, avvisando i sindacati e le strutture provinciali competenti, che potranno decidere di proporre ulteriori negoziati se l’azione sindacale non dovesse concludersi positivamente;
  2. Esame congiunto: le associazioni sindacali coinvolte possono richiedere l’apertura di un tavolo di trattative entro 7 giorni dalla comunicazione iniziale, al fine di valutare il motivo dei licenziamenti e proporre delle alternative, come l’utilizzo dei lavoratori per altre mansioni o misure di riqualificazione/riconversione dei dipendenti da licenziare. Ovviamente, l’eventuale accordo deve essere approvato dalla maggioranza dei lavoratori coinvolti. L’esame deve chiudersi entro 45 giorni;
  3. Nel caso in cui la mediazione sindacale non abbia successo, le strutture provinciali preposte (avvisate durante la comunicazione iniziale) hanno la possibilità di aprire un nuovo tavolo di trattative, che deve concludersi entro 30 giorni;
  4. Se i vertici dell’azienda non riescono in alcun modo ad arrivare ad un compromesso con i lavoratori si procede infine al licenziamento vero e proprio, che deve ovviamente arrivare attraverso una comunicazione scritta. La procedura deve concludersi entro 120 giorni dalla chiusura dei tavoli di trattativa.


È bene sottolineare che la selezione dei lavoratori da licenziare NON spetti al datore di lavoro ma debba rispettare gli accordi sindacali presi durante la procedura. Nel caso di mancata intesa tra le parti dovranno essere rispettati dei criteri che tengano conto del carico familiare, dell’anzianità e delle esigenze produttive dell’impresa. 


Ovviamente, ogni tipo di selezione basata su sesso, etnia ed opinioni politiche e/o religiose è assolutamente illegale.


È possibile opporsi ad una decisione di licenziamento collettivo?

Un ex-dipendente può decidere di impugnare la decisione presa dell’azienda entro 60 giorni dalla comunicazione scritta di licenziamento. La scelta di contestare il licenziamento può basarsi su uno fra tre potenziali motivi, riassumibili in:

  1. Mancanza della forma scritta: il datore di lavoro ha l’obbligo assoluto di informare i lavoratori e le parti coinvolte per iscritto. In caso di inadempienza, il dipendente ha diritto a ritornare al posto di lavoro e ricevere un’indennità che copra tutte le mensilità dal momento del licenziamento a quello della reintegrazione. In alternativa, un ex-dipendente può anche richiedere un’indennità di 15 mensilità senza ritornare al vecchio lavoro;
  2. Inosservanza delle procedure: se il datore di lavoro non rispetta le procedure indicate dalla legge durante il processo di licenziamento collettivo, il lavoratore ha diritto ha un’indennità corrispondente ad un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità;
  3. Mancato rispetto dei criteri di scelta: nel caso in cui il datore di lavoro non rispetti i criteri di scelta pattuiti o stabili per legge, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione (o un’indennità sostitutiva) ed al pagamento di un’indennità che non può però superare le 12 mensilità.


Sono poi previste ulteriori tutele per le lavoratrici. Al fine di promuovere la creazione di un ambiente inclusivo e ridurre le disparità lavorative a livello di genere (intenzione peraltro confermata dalla creazione della certificazione della parità di genere), la percentuale di lavoratrici licenziate a livello collettivo non potrà superare quella delle donne impiegate attivamente nello stessa mansione all’interno dell’azienda.

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