Il recupero crediti all’estero: come può l’imprenditore tutelarsi?
08 Maggio 2023 Commercio internazionaleControversie transfrontaliereDiritto europeoProtezione legaleRecupero crediti
Le transazioni commerciali internazionali sono sempre più frequenti e divenute, si può dire, ormai inevitabili.
Il tema è evidentemente di primaria importanza per l’esportatore italiano che si può trovare a dover gestire e fronteggiare il rischio di insolvenza del cliente estero e che, quindi, deve essere tutelato.
Il quadro normativo di riferimento si fa via via più nitido, a beneficio di una sempre maggiore certezza e sicurezza nei rapporti giuridici in ambito transnazionale, ad evidente vantaggio per le esportazioni, verso le quali notoriamente propende il ceto imprenditoriale italiano anche di piccole dimensioni.
Ma partiamo dall’inizio. È stata messa a disposizione dall’ordinamento europeo la procedura per richiedere l’emissione del decreto ingiuntivo europeo, la quale opera in caso di controversie transfrontaliere, ossia cause in cui almeno una delle parti abbia domicilio o residenza in uno degli stati membri dell’Unione Europea diverso da quello del giudice adito.
Si tratta di crediti liquidi, esigibili e non contestati che possono venire ad esistenza in materia civile o commerciale.
La normativa europea mira a semplificare, accelerare e ridurre i costi dei procedimenti relativi alle controversie transfrontaliere aventi ad oggetto dei crediti pecuniari. Tramite l’istituzione di un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, il legislatore intende assicurare la libera circolazione in tutti gli Stati membri dell’ingiunzione di pagamento europea (IPE), senza la necessità di porre in essere dei procedimenti intermedi per il riconoscimento del titolo e per l’esecuzione. In altre parole, il decreto europeo è un titolo valido ed eseguibile in ogni paese dell’UE.
Ma facciamo un esempio pratico.
Un creditore italiano si rivolge al tribunale vantando un credito di quindicimila euro verso un debitore residente in Germania. Poniamo che il luogo di esecuzione dell’obbligazione sia la Germania e che il debitore non sia un consumatore. L’Italia è lo Stato membro d’origine, ossia lo Stato nel quale è emessa l’ingiunzione di pagamento europea; invece, la Germania, ove ha il domicilio l’ingiunto o dove è stata eseguita l’obbligazione, è lo Stato membro di esecuzione, ossia lo Stato nel quale è richiesta l’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento.
Procedura semplificata si, ma si valutano i costi per rivolgersi a un giudice di un’altra nazione che devono essere sostenuti dalle imprese?
Si registrano, in questi ultimi anni, numerosi e rilevanti interventi della Corte di Cassazione su temi inerenti alle transazioni commerciali internazionali, con riguardo alla competenza giurisdizionale nelle controversie discendenti da esse.
Uno degli ambiti più controversi in cui si è dibattuto per stabilire il giudice competente è quello degli ormai diffusissimi contratti di compravendita internazionale, ossia, per semplificare, quelli in cui a fronte della fornitura di una determinata merce viene pagato un prezzo corrispettivo.
La compravendita di beni va intesa in senso ampio, rientrano nella nozione figure contrattuali miste, diffusamente utilizzate nel commercio internazionale, quali la compravendita di beni da fabbricare o la fornitura di beni complessi da installare ovvero da fornire “chiavi in mano”.
Un punto nodale è rappresentato dalla definizione di “luogo di consegna dei beni”. A tal riguardo, l’orientamento interpretativo più recente è fornito dall’ordinanza n. 15891 emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite lo scorso 17 maggio 2022, la quale si pone in continuità con l’orientamento già formatosi presso la Suprema Corte, orientamento che individua tale luogo nel Paese di destinazione finale delle merci, qualora il luogo di consegna non sia contrattualmente indicato, anziché nel luogo di assolvimento dell’obbligazione di consegna in base alla legge applicabile al contratto.
La Suprema Corte osserva che il criterio del luogo di consegna materiale dei beni è il criterio interpretativo da preferire perché presenta un alto grado di prevedibilità e risponde ad un obiettivo di prossimità, in quanto garantisce l’esistenza di una stretta correlazione tra il contratto e il giudice chiamato a conoscerne; senza trascurare il fatto per cui l’obiettivo fondamentale di un contratto di fornitura di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore all’acquirente, operazione che si conclude soltanto quando detti beni giungono alla loro destinazione finale.
Ma in generale, è possibile spostare le eventuali controversie devolvendo la giurisdizione alla competenza del Giudice italiano?
La Corte di Giustizia si esprime con chiarezza sulla non conformità della clausola attributiva di giurisdizione che non risulta essere stata oggetto di pattuizione fra le parti, ma inserita nelle fatture emesse unilateralmente dal fornitore o in condizioni generali di contratto.
Pertanto, si evidenzia la necessità di stipulare un contratto per iscritto, al fine di poter rendere valida ed efficace una clausola attributiva di giurisdizione. Infatti, in assenza di pattuizione, in caso di controversia le parti potrebbero trovarsi a dover chiedere una decisione ad un giudice del tutto inaspettato e lontano dalla materia del contendere.
Dunque, l’unico modo per determinare inequivocabilmente il foro competente, in caso di controversia tra le parti di un accordo commerciale di trasporto di beni mobili, consisterà nell’inserimento all’interno del contratto di una previsione ad hoc, ex art. 25 del Regolamento UE No. 1215/2012.